Archivio Vittorio Mascherini

una vita attraverso due guerre mondiali e la resistenza

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DIARIO DEL FURIERE FRANCESCO ORLANDI

Giugno 1917

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Il 2 Giugno, sull’ordine del giorno si apprese che l’8a Compagnia sarebbe partita all’imbrunire, abbandonando il Reggimento e unirsi poi, alla 4a e 12a che l’avrebbero seguita nei giorni successivi per formare un nuovo battaglione marciante da inviarsi verso ignota destinazione; da molti, si diceva sul Carso, per rimpiazzare le perdite subite nell’offensiva iniziata.

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Il 3 in altro permanente, venivano passati effettivi alla mia Compagnia, tutti gli Arditi e aventi cariche speciali della 4a Compagnia, quindi sempre più lavoro per aumento di amministrati per iscrizioni in ruolo, nel giornale, sui nastrini ed altro. Così io mi affrettavo sempre a lavorare per mettermi in pari e con fatica riuscivo a ultimare i miei lavori anche per le continue e multiple seccature dei partenti in licenza, di quelli in arrivo, nonché dei vari servizi e luoghi che dovevo personalmente recarmi. Fino dopo l’una di notte lavoravo, poi mi buttavo in branda tanto stanco che non sentivo i forti bombardamenti notturni durante gli attacchi. Da mia moglie, ebbi notizia della tosse asinina riconosciuta dal medico ad Augusto e della tema che si propagasse anche a Beppe. Ciò mi rese maggiormente di malumore pensando che quella disgraziata di mia moglie non aveva mai un po’ di tranquillità a causa delle alternate malattie dei nostri piccoli figliuoli . Anche quella sera rimasi a lavorare oltre l’una. Vero le 10 cominciarono ad arrivare in prima linea Merzli alcune grosse bombarde, una delle quali prese proprio in pieno il Comando di Compagnia formato di un muro a secco tutto attorno e cementato, coperto con grosse e fitte putrelle e lamiere di ferro, nonché sacchetti di terra. Alla potentissima esplosione le putrelle si contorsero ed altre cedettero cadendo con massi e pietrisco, seppellendo tutte le persone che ivi si trovavano e cioè : Il Caporale Maggiore Furiere Pianigiani ( colui che aveva sostituito il mio posto al ritorno della licenza ), il Caporale Lanari e l’attendente del Comandante, Sigismondi Emilio, detto “ Langhino ”. Il Caporale Lanari, sebbene ferito gravemente, cominciò a urlare affinché i soldati vicini fossero accorsi a dissotterrare i suoi compagni di sventura seppelliti sotto le rovine e non volle essere trasportato dai portaferiti finché l’operazione di salvataggio non venne ultimata. Dalle ore 22,30 ora in cui scoppiò la granata, fino verso l’una, si lavorò per estrarre dalle macerie il Caporale Maggiore, molto malconcio, ed il Sigismondi peggiore di tutti, avendo il cranio spaccato con fuoruscita di materia cerebrale. Ai portaferiti, si unirono gli zappatori di Compagnia, per trasportarli al primo posto di medicazione. Di là, poi, furono faticosamente portati all’infermeria di Volarie. Il Sigismondi per primo diede sintomi di gravità eccezionale sferrando calci e pugni alle persone attorno alla barella ed al lume. Il Lanari, invece, fu medicato esso pure, ma riconosciuto fuori pericolo. Il Pianigiani per ultimo, fece fermare i portaferiti alla Fureria di Volarie e mi fece svegliare dai portaferiti. Balzai subito dalla branda e facilmente potrete comprendere con quanta mia meraviglia e dispiacere, vedendo il mio amico ridotto in quello stato misero. Nonostante che fosse debole, sfinito e martoriato dalle scosse della portantina, mi pregò di tenerlo sollevato alla testa fino all’infermeria; là giunti, mi parlò delle cose più importanti, del denaro e vaglia di cui doveva darmi conto e che tutto gli era stato ritirato al suo passaggio al Comando di Battaglione. Il Dottor Piperno non fece altro che farlo meglio adagiare nella barella mettendogli, sotto la schiena, delle coperte, lagniandosi il Pianigiani di sentire fortissimi dolori al petto ed all’addome, per lo schiacciamento prodotto sul suo corpo dalle putrelle urtate e spinte nell’esplosione, senza curarsi delle altre ferite e slogamenti che certo non dovevano procurargli piacere. Ci salutammo e ci baciammo. Baciò anche il Sergente Maggiore Vagnozzi accorso egli pure in infermeria, poi fu trasportato in barella dai nuovi portantini di sanità, alla sezione di Kamno ove raggiunse gli altri due feriti.  Mi fu consegnato un portafoglio con lettere e fotografie, un portamonete di pelle con l’anello d’oro che il Pianigiani portava di solito al dito.

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Nella sera del 4 Giugno furono trasportati con l’autoambulanza da Kamno a Cividale solo il Pianigiani ed il Lanari, essendo il povero Sigismondi Emilio già spirato.

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Il 5 Giugno lo dedicai in maggior parte alla chiusura del giornale ed il 6 mi recai in linea per il pagamento delle cinquine e per fare firmare il giornale dal Comandante. Di buon mattino, in compagnia dell’ottimo sarto Muratori, salimmo la faticosa erta, parlando della nostra Bologna, divertimenti, amici e conoscenti. Là giunto, il Comandante mise a mia disposizione metà della sua colazione, che mangiai all’aria aperta, da solo, su di un tavolino di vimini, indi mi fece fare domande, verbali, rapporti e tante altre pratiche, sinché solo verso sera potei ritornare col sarto, nuovamente a Volarie.

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L’8 Giugno di buon mattino portai meco il calzolaio Lombardozzi a San Lorenzo, dove mi recai a depositare all’ufficiale d’amministrazione il giornale chiuso della gestione di Maggio. Passammo per quei sentieri che, da ormai 15 giorni non avevo più visto, e trovammo in costruzione una strada mulattiera. Presentai il giornale all’ufficiale che mi fece alcune domande a quesito, per vedere se comprendevo gli svolgimenti della contabilità militare e, sebbene non fossi certo pratico in tal genere, tuttavia seppi rispondere giusto alle parecchie sue interrogazioni. Poi andai a far visita all’amico Cesari a Smast e verso le ore 11 ritornammo a Volarie. Nel pomeriggio, mentre mi trovavo alla censura, parecchie granate da 105 arrivarono a Volarie, ed una scoppiò a soli 6 metri dalla Fureria, affondando fortunatamente nel terreno molle, spandendo zolle, sassi, e schegge per una circonferenza di un centinaio di metri, con fracasso indiavolato sulle tegole dei tetti di tutte le case dintorno, sfondando anche qualche debole soffitto. 

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Il 9 Giugno ricevetti due lettere da mia moglie dove mi narrava che il mio bambino minore, Augusto, era gravemente ammalato di tosse cattiva e che in certi attacchi perdeva i sensi e dagli sforzi cacciava fuori sangue dalle narici. Il medico la consigliava di cambiare aria, ed ella poveretta, si era decisa di andare a casa dai suoi genitori per essere così più vicina ai giardini pubblici ed ai colli e poter comodamente portare in carrozzella il bambino a respirare aria salubre. In quel giorno ritornò dall’ospedale il Tenente Ciccanti e narrò che dove era lui era pieno di feriti, ed anche in certi luoghi di degenza erano zeppi di barelle con feriti portati dal Cucco fin verso Gorizia.

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Il 10 l’artiglieria nemica si animò in offensiva contro le mense Ufficiali, colpendo in pieno quelle di Kamno, Caporetto ed altre, fortunatamente poco prima che si sedessero alle mense; quindi molti danni materiali, ma nessuna vittima umana. In quella notte venne l’ordine dalla Divisione di spingere i Plotoni Arditi lungo tutta la linea per fare prigionieri, necessitando sapere quali fossero i preparativi del nemico che avevamo di fronte, dato il movimento insolito di truppa e d’artiglieria, quasi da far temere una prossima offensiva contro la nostra linea. Il nemico non mancava certo di attaccarci e non passava giorno che non vedessi passare morti e feriti, mentre benespesso noi non tiravamo di giorno. 

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Il 12 Giugno ebbi un acutissimo mal di denti per spiombature diverse in poco tempo e soffrii terribilmente. Andai dal Capitano Medico perché mi permettesse di recarmi a Ladra dove vi era uno specialista militare, ma, mi rispose, che vi avrebbe dovuto mandare mezzo reggimento. Se avessi voluto levarmeli egli vi avrebbe preso divertimento. Lo ringraziai dispensandolo, presumendo che come medico poteva essere ottimo, ma come levadenti ne dubitavo troppo e non volli arrischiare di vedere le stelle in pieno giorno.

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Il 13 Giugno si seppe che il Tenente Colonnello Ferrari era stato destinato a comandare sul Carso il 72° Reggimento Fanteria. Fu quello, il giorno di onomastico del Colonnello Guerra, ed al Comando di Reggimento vi fu Messa solenne ed un buon pranzo.

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La mattina del 14 il Tenente Colonnello Ferrari lasciò, di malincuore, il Battaglione commosso fino alle lacrime. Nella nottata discese a riposo il 1° Battaglione e tutta la notte non vi fu che un andirivieni in Fureria, degli attendenti cariche speciali, graduati e ufficiali. 

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Il 15 mattina mi portai con Muratori a Scelisce, dove le mia Compagnia stava nei baraccamenti e là istallai la Fureria. Nel pomeriggio, unitamente ai sergenti, mi recai in riva all’Isonzo a prendere un bagno nelle troppe fresche acque. La visuale era splendida ! Boschi verdi, cime nevose e ..... nemico soprastante sul Rombou.  Nel ritorno, fummo invitati da alcuni sott’ufficiali d’artiglieria a una bicchierata in un magnifico locale nella vallata dell’Isonzo ai piedi di Scelisce. Non mancò nemmeno la musica allegra di un minuscolo mandolino, suonato da un sergente d’artiglieria. Trovai un artigliere cliente e amico dei fratelli Buitoni di San Sepolcro e passammo oltre un’oretta parlando della produzione, concorrenza e smercio dei prodotti della Ditta nemica acerrima di quella Ditta F.lli F. O. Bertagni, per gelosia di privativa e della quale io ero da borghese, alle dipendenze. Venni chiamato d’urgenza da un portaordini essendo stato delegato al ritiro di giovani reclute per completamento alla nostra compagnia e dovetti recarmi fino a Ladra, impazzendo non poco a cercare il Battaglione di marcia che doveva consegnarmi i militari, nella maggior parte composta da torinesi.

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Il 16 Giugno espletai tutte le pendenze e distribuzioni in compagnia. 

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Verso le ore 2 del 18 Giugno fui svegliato da un furioso contrattacco e bombardamento nemico che ci procurò 3 morti e 17 feriti. Di buon mattino me ne tornai a Scelisce e vi rimasi fino al pomeriggio, trasferendomi poi, con la compagnia, al riposo nella vicina San Lorenzo. Là giunto, seppi che il giorno innanzi, alle ore 16, alcuni colpi d’artiglieria nemica di grosso calibro, dalla sommità del Monte Rosso, avevano lanciato tutto attorno alle baracche della Fureria grosse schegge, non ferendo fortunatamente alcuno.

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Il 19 Giugno il mio nuovo aiutante di Fureria improvvisò miglioramenti nei pasti fra noi graduati ed ebbe meritate lodi per il suo interessamento, potendo così noi gustare qualche cosa di dissimile dall’abituale rancio.

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Il 20 Giugno ebbi incarico di redigere un verbale per il Soldato Mandoré Salvatore, semi-idiota e ritardatario dalla licenza, feci la cinquina in un bel prato ed ascoltai la conferenza sulla situazione politica-europea tenuta dal Tenente Brugena a tutti i militari a riposo. Ebbi una visita da Cesari verso sera,  col Muratori lo ricondussi fino a Smast, mentre lassù, nel  Rombau, si vedeva nettamente il lampeggiare dell’artiglieria. 

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Il 22 Giugno mi recai, nel pomeriggio, dove la Compagnia faceva istruzione per sapere la categoria di tutti, dovendo compilare un modulo numerico statistico ( forse servibile per future mobilitazioni ). Essendomi seduto sull’erba con l’umidità mi si era addormentata una gamba, non potevo più camminare.   . Dissi che quello era il frutto dell’acqua e dell’umidità presa lo scorso Novembre, ma mi sentii deridere dai giovani da poco arrivati ed uno disse : “ Si, la trincea di Fureria ”.  Io gli risposi a tono, augurandogli che provasse la trincea del Carso come avevo fatto io, e poi parlasse. Gli altri, più anziani, confermarono quanto avevo detto, rimproverarono quei ragazzi che non erano nemmeno stati in trincea. La sera, ricevetti ordine di partire l’indomani mattina per Volarie, onde fornire a Vagnozzi e Genassi i dati matricolari di militari partiti l’anno prima da Roma.

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La mattina seguente, 23 Giugno, mi recai a Volarie e con il nipote del Colonnello mi misi all’opera, e poi anche col Sergente Maggiore Vagnozzi dovetti fare il medesimo lavoro e così prima dall’uno e poi dall’altro feci il lavoro ben due volte.

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Mi trattenni anche il 24, perché trovavo inutile recarmi alla mattina a San Lorenzo per ritornarvi poi di nuovo alla sera, dovendo andare la Compagnia in linea sul Vodil.

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 Fu nel pomeriggio, poco dopo le ore 14 che un bombardamento nemico cominciò a colpire le case del paese e per prima la nostra sinistra. Credemmo prudente di ritirarci in galleria ed io approfittai del piccolo ricovero in cemento sotto la casa per ogni buona precauzione. Stavo scrivendo una cartolina a mia moglie, e per 6 volte dovetti interromperla per ricoverarmi in luogo più sicuro. In quei giorni la censura venne eseguita nel mio ufficio, essendo uno dei luoghi più al riparo. Verso sera mi recai all’infermeria per ritirare i denari di trasferta pagati ed uno che doveva andare in licenza e che all’uscita del paese era stato colpito nelle gambe insieme ad altri. Lo trovai in sezione relativamente rassegnato e non mancai di fargli i migliori auguri. Ebbi, nel contempo, occasione di vedere i danni causati dal bombardamento.  Dei 50 colpi di piccolo calibro ( 25 ) ben 18 avevano colpito fabbricati adibiti per la maggior parte a residenza di Comandi, sventrando uffici, mense e dormitori. Anche altri edifici sulla strada e nel paese ebbero la peggio. Il nemico aveva mirato giusto! Verso sera cominciò la fila degli attendenti e portaordini che si avviavano in linea. Uno di questi portava anche una gabbia con una gazza ... del Comandante. Il Sig. Tenente Mascherini passò da me verso le ore 23 con gli altri Ufficiali e dopo una mezz’oretta di accordi e conversazioni se ne andò in linea, con i miei migliori auguri di incolumità.

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Il 25 Giugno il sarto Muratori volle confezionarmi un necessaire in panno grigio, per porvi gli oggetti di pulizia che possedevo e fu un lavoretto ben riuscito. Era il sarto cui si servivano esclusivamente tutti gli ufficiali del Battaglione e, dalle sue mani, anche senza macchina da cucire, uscivano dei veri gioielli. E tali li giudicavano gli ufficiali stessi, che avevano per lui grande stima. In quel giorno ritornò in Fureria l’attendente del Sotto Tenente Langella, che aveva lasciato il suo superiore deperito fisicamente; mi portò un affettuoso biglietto nel quale mi pregava di tenergli la posta ed un pacco postale che fra breve avrebbe dovuto arrivare. L’attendente si trattenne anche la notte a riposare ed il giorno dopo salì in linea. Nelle ore 23, mentre ci eravamo allora coricati, vennero il Sergente Dallara ed il Caporale Pera, fingendo di essere i carabinieri che volevano fare rapporto perché di sera si tenevano i lumi accesi! Lo scherzo andò per le lunghe e terminò con sassate sui nostri letti e rotolamenti di un barile vuoto per la Fureria.

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All’una del 26 Giugno mi svegliò un portaordini con preghiera di far subito due situazioni con variante minuziose, mai compilate neppure dai Furieri in guarnigione, quindi fuori luogo in guerra; ma dovettero eseguire tale ordine anche tutti gli altri Furieri del Reggimento. Dovetti lavorare fin verso le ore 4, quando già stava scemando un nostro bombardamento per un attacco nemico. Dopo circa mezz’ora fui svegliato nuovamente dai portaferiti che conducevano tre dei nostri all’infermeria per ferite da bombe, fortunatamente di poca entità. Poterono però avere la visita medica solo nel pomeriggio. Ebbero una medicazione e dopo una sola giornata di riposo, furono rimandati in linea. Vennero da me, giustamente, a protestare e disposi affinché il Sergente Ciuffi e il Soldato Ascari Socrate, più gravi, rimanessero a Volarie, mentre l’altro ferito al mento lo inviai in linea, con un biglietto al Comandante affinché, se possibile, concedesse maggior riposo ai due feriti che non potevano muovere gli arti colpiti senza sentire gravi dolori, ma ebbi per risposta di concedere solo il riposo dato dal medico, quindi nulla più! 

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Alle ore 2 del 27 Giugno colpito alla testa da una bomba da fucile, moriva all’istante l’attendente del Sotto Tenente Langella, salito in linea a malincuore, il giorno prima. Fui svegliato dai portaferiti al suo passaggio e mi portai all’infermeria per l’estensione del verbale di morte. Chi l’avrebbe pensato !  Se fossi stato indovino l’avrei trattenuto un altro giorno giù in Fureria; ma nessuno avrebbe sospettato che ben due attendenti  di due ufficiali della mia Compagnia se ne dovessero morire entro un mese ! Era un modenese dell’86, buono, rispettoso ed educato. Tante volte si era meco sfogato per le disgrazie che lo colpivano in famiglia. Avrebbe voluto che io avessi sollecitato il Comandante perché l’avesse mandato in licenza, ma io non ne avevo fatto parola, poiché cercavo di farvi andare solo chi ne aveva diritto per precedenza d’anzianità di fronte. Egli aveva solo undici  mesi di fronte, mentre ve ne erano di quelli che da tanto tempo attendevano e ne avevano venti  ! 

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Il 28 Giugno cominciarono ad accumulare materiale d’artiglieria portato da autocarri fino ai piedi delle mulattiere, e tutta la notte lunghe file di muli, somati d’ogni genere di ostacoli, che arrivavano fino a 300, fecero continuamente la spola. Si videro arrivare nuovi ufficiali d’artiglieria per i nuovi pezzi, che anche di giorno, si recavano a prendere cognizioni utili per i nuovi appostamenti.

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La sera del 29 i nostri zappatori stavano rinforzando la linea dei reticolati e dovevano essere protetti, durante il lavoro, dagli Arditi, mentre invece questi ben prudenti preferivano rimanere dietro gli zappatori. Venuti a conoscenza di ciò, il Tenente Mascherini ed il Sergente Valenti, verso le due antimeridiane del 30 Giugno uscirono dalla linea con l’intenzione di prendere a bastonate gli Arditi poco coraggiosi. Costoro vedendo il Comandante della 1a Compagnia ed il suo dipendente uscire, cercarono di portarsi sulla posizione loro assegnata, ma in quel frattempo un cannoncino sparò ed il proiettile scoppiò a pochi passi dal Sergente Valenti che rimase gravemente ferito alla testa con la perdita di un occhio, ad un braccio con asportazione della mano e alle gambe,  al ventre ed al costato con schegge penetranti. Il Tenente Mascherini, coperto in parte dal Valenti, rimase egli pure ferito alla regione superficiale della testa, all’avambraccio e mano sinistra, coscia destra e altre scalfitture di minore entità. Il Valenti raccolto in quello misero stato dai nostri portaferiti e condotto al posto di medicazione dove gli fu riscontrato la frattura dell’avambraccio sinistro con asportazione della mano, ferite multiple ed altro. Verso le ore 3 un attacco nemico mi aveva svegliato ed al passaggio del Valenti, mi vennero a portare la brutta notizia. Mi alzai subito, chiamai il Sergente Maggiore Vagnozzi e nel contempo arrivò in Fureria anche il Tenente Mascherini con la testa fasciata e ferito in altre parti, un po’ zoppicante e sostenuto da due soldati. Narrò in succinto il fatto e poi assieme ci recammo all’infermeria. Là sulla barella stava il Valenti con la testa tutta fasciata, solo un po’ di bocca scoperta. Gli stavano cambiando le altre medicazioni alle altre varie ferite. Dalla voce conosceva le persone che gli stavano d’attorno e diceva loro che moriva e che era impossibile che l’avesse scampata. Diede anche ordine al suo attendente di conservargli le sue lettere amorose contenute nel suo portafoglio, sprovvisto di denaro. Anzi, col residuo della cinquina, avendo già avuto un buon acconto, furono, dal Sergente Ciuffi, pagati diversi piccoli debiti, per somministrazioni alimentari in linea. Dopo accurate medicazioni, tanto il Valenti che il Mascherini furono coricati nell’ambulanza che li portò all’ospedale. Alla partenza il Comandante raccomandò a me la Compagnia ( ! ) forse voleva intendersi..... amministrativamente ! Il Cappellano del 156° con noi dimostrò i suoi dubbi, circa il sopravvivere del Valenti, troppo malconcio. Nel pomeriggio però, l’attendente del Tenente Mascherini, di ritorno dall’ospedale di Kamno, ci portò migliori notizie del Valenti, che avevano già operato.

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